Di ritorno in questi giorni da un breve viaggio in un piccolo paese in alta Irpinia, riflettevo sull’impatto psicologico che un altrettanto piccolo borgo come il Centro storico di Matera, possa avere sulla complessa visione di un uomo.
Arrivato al calar del sole, per Matera dalla mia città si viaggia anche tre ore, le case sembran tutte abbastanza vecchie, c’è poco movimento dentro e fuori dalle mura. Faccio in tempo a chiedere ad un ragazzo del posto la strada per scendere giù ai Sassi,i famosi e sempre più ricercati.
L’orologio segna 19:45, il cielo inizia a stendere decine di colori e la luce, pian piano, dall’Italia si muove alla sua straordinaria velocità per andar a risvegliare l’altra faccia della terra.
Percorro una serie di vicoletti con molta attenzione, le strade qua sono strette e tutto sembra andar a rilento.
Sui volti degli anziani del posto seduti in silenzio agli angoli delle strade, si legge la storia di una delle civiltà più antiche del nostro Mondo. Non conosco il posto, ci passo per la prima volta, ma a furia di girare, ormai direi, tra le tante stradine si presenta finalmente l’ingresso che cercavo.
Un cartello con indicazioni certe sull’estremità di una rapida discesa.
Il tempo di imboccarla che a pochi metri sulla destra il sipario della natura tira via le tende e mi mostra lo spettacolo di un teatro senza tempo.
I Sassi, Matera e la convivenza,storica e preistorica.
La sensazione distensiva è immediata e probabilmente no un caso, o un sentimento del tutto personale.La roccia bianca che fa da enorme sostegno ad ogni cosa, in tanti punti diventa casa, quasi da sola prende forma e, generosa, lascia alla mente umana l’opportunità e la libertà di creare. In un patto non scritto, che per quello che so dura da sempre.
Chiese, Palazzi, scale, pavimenti,ogni tipo di forma o espressione. Tutto bianco alle luce del sole, tutto giallo a quella artificiale.
Dal terrazzo del mio alloggio, di notte un sottile soffio di vento accarezza la mia penna, là di fronte centinaia di casette scavate nella roccia intersecate tra loro, come in un domino, si arrampicano fino a su quasi a sorreggere la torre della Cattedrale che dall’alto dirige lo sguardo e sorveglia ogni cosa.
Resto senz’altro stupito dall’ordine e dalla bellezza di questo posto, dove la roccia ti esorta a camminare scalzo e ogni cosa sembra essere lì da sempre. Dove ottomila anni di storia non fanno nulla per nascondersi e dove ogni scrittore non avrebbe senza’altro nulla da chiedere.
Giuseppe Di Vaio