Qualche giorno fa per un intervista mi chiedevano come mai mi soffermassi spesso su scene come questa.
“Gli scugnizzi”. Cosa essi rappresentassero realmente per me:
Mio padre nel quartiere è conosciuto da tutti come “o’ scugnizz”, da piccolo i suoi amici per ovvie ragioni di conseguenza mi chiamavano ” o’ scugnzziell”.
La prima vera eredità, il primo passaggio padre/figlio a Napoli sta nel nome scelto dal popolo.
Un pomeriggio estivo di quasi trent’anni fa un signore che di tanto in tanto veniva giù da Viterbo a far vista alla Famiglia penso bene di fotografarmi. Si chiamava Antonio, era molto alto, capelli ricci ed un grande neo sul viso, per tutti era Tonino. Aveva una grande passione per la Fotografia.
Quel giorno mio padre era ancora a lavoro, lui tornava spesso tardi la sera, cosi Tonino chiese il permesso a mia madre che da poco mi aveva fatto tagliare i capelli, “corti corti” a spazzola. All’epoca probabilmente i capelli si tagliavano una volta ogni tre/quattro mesi, un evento.
Avevo circa sette anni, mia madre acconsenti.
Ero seduto su di un muretto alto meno di un metro, appoggiato con la schiena vicino ad una protezione in plastica e ferro che divideva il cortile da un giardino privato. Pesavo in tutto 30 kili un’ “Alice”, riuscivo ad avvolgere la mano intorno ad una caviglia e far combaciare senza sforzi pollice e indice. Avevo un pantaloncino corto, poco sporco, una canotta ed un paio di scarpe modello “All Star” gialle. Correvo sempre. Tonino ,che mi conosceva bene, mi chiese di tenere una sigaretta accesa tra le dite e di far finta di fumare, senza scottarmi s’intende, una recita in buona sostanza. Durò poco.
Fatta qualche foto Tonino mi accarezzo, non in testa per non rovinarmi il look, e ci disse che sarebbe tornato per mostrarci il risultato, ringraziò mia madre e salutò. Io tornai a correre.
Qualche mese dopo, rincasando dal solito giro pomeridiano con il mio gruppo di piccoli amici, mia madre mi mostrò appesa una foto incorniciata in bacchette di legno verde, adornata di un sottile filo rosso al centro della stecca. Un bianco e nero con uno scugnizzo che faceva finta di fumare. Tonino aveva mantenuto la sua promessa.
Diceva orgoglioso a miei che con quella foto ci aveva vinto un concorso a Firenze. A Firenze!
Volle rifotografarmi, quella però volta i capelli erano cresciuti ed in testa avevo un berretto blu girato al contrario.
Ecco ora provate a fare la stessa domanda a Tonino ( che non vedo da qualche decennio ) un uomo più grande e saggio di me, o alle migliaia di Tonino da decenni rapiti da scene come questa.
I bambini di Napoli sono Napoli, ciò ero io oggi sono loro. È l’identità, la vita che esiste e resiste. Nuovi occhi per vecchie scene.
È la mia città che immortale si ripete.
Quella foto in bianco e nero nella sua cornice verde con un filo rosso al centro resta appesa su ogni mia parete e Tonino orgoglioso, chissà dove, ripensa ancora.
Giuseppe Divaio
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