Capodichino 20,40 circa. Un’ ora di ritardo.
Appena dietro di me, posto 14d corridoio, un bambino dalla chioma rosso ruggine, colorito bianco latte prende dolcemente a calci il mio sediolino. Devo avere una particolare attrazione per questo tipo di situazioni, ogni volta che mi siedo in un treno, un aereo o finanche un Bus dietro di me appare magicamente un bimbo, con dei genitori poco attenti, pronto quantomeno a movimentare il mio viaggio.
Se nasci in un posto dove un enorme montagna a due teste sovrasta e fa da cornice ad uno dei golfi più belli al Mondo, da sempre avrai sentito i più svariati racconti e leggende su di essa. Una di queste è il fuoco. Dio Vesuvio nel mio caso di fuoco ne ha sputato raramente, ma ogni volta che l’ha fatto è stato poco clemente con la sua stessa terra. Viviamo l’incubo del fuoco, la storia ci ha detto ciò di cui è capace e Pompei ancora brucia. Eppure in 34 anni e 6 mesi circa io di fuoco, fortunatamente, uscire dalla bocca di Dio Vesuvio non ne ho visto mai.
L’aereo nel frattempo sale e nemmeno il tempo di riabbassare lo schienale riscende, nel mio viaggio ci sono circa 40 minuti di volo il tempo esatto per leggere una guida, bere un po’ d’acqua e affacciarsi dal finestrino. Sotto una grande distesa d’acqua nera ed alla fine di questa la che terra risale e diventa montagna, una molto simile a quella che avevo pocanzi lasciato, una sola testa questa volta, luci, fuoco e stelle. Catania.
Dio Etna questa notte mi offre per primo nella vita la sua lava, ringrazio, e dall’alto resto ammirato. Fuoco amico dice Fabrizio.
Fabrizio è il mio primo contatto Siciliano, mi aspetta all’aereoporto e mi rassicura sul percorso della lava “ non temere, qui è tutto normale. La montagna non tarda mia a farsi sentire, ti ci porto! Andiamo su se vuoi”.
Mi piacerebbe ma il tempo a disposizione non è abbastanza, ho un po’ di cose da sistemare, sarà per la prossima volta. Chiedo a Fabrizio di accompagnarmi in Hotel dove tra l’altro mi aspettano per cena. Di strada passiamo a prendere Simonetta, artefice del mio viaggio Siciliano. Un abbraccio, la prima che ci vediamo, monta in macchina e riprendiamo il tragitto che ci porta in centro. Simo inizia a descrivermi un po’ la città, di notte è tutto molto bello palazzi grandi, strade larghe, pochi rumori. Noto una certa uguaglianza tra le varie strade, e gran parte degli edifici sono esattamente come erano il primo giorno nessuno li ha mai ritoccati.
In questa città nessuno mette le mani su niente. Giallo, grigio e rosa un po’ ovunque. I ragazzi mi parlano per la prima volta della città nera (scura) concetto che ritroverò più volte in pochi giorni. Catania è una città costruita in gran parte grazie allo straordinaria materia che Dio Etna gli Dona la Pietra Lavica, c’è n’è ovunque. Ne ho vista ovunque. Ecco la Lavica nera, Catania e la sua gente.
Arriviamo in albergo, all’ingresso ci aspetta Alessandro un ragazzo estremamente gentile che gestisce questo posto insieme alla sua famiglia, mi porta nel mio appartamento e mi fornisce tutto ciò di cui ho bisogno “appena hai fatto ti aspettano per cena in terrazza”. Mi lavo le mani sistemo le mie cose e riscendo. Appena giù chiedo della terrazza e salendo due rampe di scale ci arrivo. Gran parte dei palazzi in centro storico hanno un tetto a schiera fatto con dei mattoncini curvi arancio, uno sull’altro. Dalla terrazza il panorama è incantevole mi trovo in pratica al centro dei tetti del Centro di Catania. Al centro della terrazza una tavola tonda e un po’ di amici che aspettano. Simonetta e Fabrizio mi presentano Orazio e Morena e poi Viviana e Marcello. Roma, Mantova, Catania, Napoli, tavola rotonda e l’Italia. La cena è meravigliosa la compagnia finanche meglio. Discutiamo con piacere per un po’, Marcello è straordinario in meno di un’ ora mi mostra il suo terrazzo che da sul Castello a picco sul mare, il suo imminente e desiderato viaggio ai Caraibi e mi parla del suo lavoro. La moda, le feste, le piazze, le chiese, la Sicilia insomma. Si fa tardi devo riposare, saluto a malincuore i miei commensali e faccio ritorno nel mio appartamento, un tetto fra i tetti. Poso le mie cose, ricarico i miei aggeggi ed apro la finestra, è notte stellata. Nel mezzo mi ci addormento.
Sveglia alle 8.00, ma il mio orologio Biologico anticipa due ore, circa. Alle sei del Mattino Catania dorme, sento il suono degli uccellini che iniziano la loro giornata e attratto metto la testa fuori dal finestrino appena sopra il mio letto. Di fronte a me una Chiesa avvolta da variegati alberi giganti che, visto il periodo, mostrano i migliori fiori. Rosso e arancio, tetti gialli e marroncino. Verde gli alberi. Azzurro e blu il cielo.
Si fa ora, dopo la doccia scelgo le ottiche, preparo lo zaino, mi vesto e giù per le scale. Appena fuori c’è un bar, un posto non molto vecchio, entro scelgo un dolce, torta di mele, e prendo un caffè. Chiedo al signore al banco dove posso comprare delle pile, saluto un signore anziano con il quale avevo scambiato due parole ed esco. Due passi e poi sinistra, infondo alla strada mi si apre il primo sipario. Dieci alberi secolari sistemati in fila uno di fronte l’altro che insieme formano un corridoio del tutto naturale, alla fine di questo corridoio, in profondità quattro uomini Siciliani un po’ in là con gli anni sono seduti e chiacchierano tra di loro fuori ad un circoletto. Siamo nel Maggio 2015 eppure potrei raccontare della stessa identica scena almeno per i precedenti 50 anni senza lasciarvi il minimo sentore di menzogna. Perché a Catania in alcuni punti il tempo si è veramente fermato, e fermandosi ha lasciato li tutto quello che c’era: Il mercato del Pesce, i banchi per strada, i palazzi corrosi, la gente distratta, l’insalata all’arancia e i colori, Migliaia di colori.
Città scura se scuro è colore.
Giuseppe Divaio e Catania.