“Hope.E’Americano. L’ho fatto a Poggioreale”.
Fuori al suo negozio Don Antonio mi mostra il suo piccolo tatuaggio sul braccio destro e me ne parla a bassa voce “meglio non dire.”, evidente ancora un po’ se ne vergona. Gli avevano spezzato il cuore ma in fondo ,dice , ci sperava.Stop. Mi invita ad entrare, alle spalle della bancarella dove oltre alle pezze vende anche oggetti, c’è la sua casa. L’ingresso e proprio affianco al suo negozio. Entriamo in un corridoio stretto e cupo e sbuchiamo in una sorta di piccolo Harem “Questo è il mio giardino, qua ci sono venuti altri fotografi, è il più bello di resina, me lo invidiano tutti”. In fondo al giardino una ragazza appena sveglia, molto giovane, beve il latte. E’ appena coperta da un velo nero e scalza, i tratti e gli occhi azzurri indicano una provenienza Est Europea, Russia, forse Ucraina, molto molto bella. On Antonio la chiama “vien cà facciamo una foto insieme” il tono è alto e tipico degli uomini del suo tempo. Lei presa da un attacco di vergona (era mezza nuda e non mi conosceva) scappa dentro casa e sale al piano superiore, lui la segue “vieni con me è mia nipote” mi dice, e da sotto ad una minuscola scala a chioccia in ferro sbraita in canottiera come un Boxeur “scendi, c’hamma fa na fotografi, io e te”. Lo invito a lasciare perdere, ripasso dopo gli dico per calmarlo, non m’interessava in effetti fotografarlo con la nipote. M’interessava lui, il suo tatuaggio galeotto e la sua bancarella con le pezze.
Saranno passati quasi vent’anni da quando a Resina ci andavo da Piscinola in pullman fino al treno alla Ferrovia, alle 8:00 del mattino, di nascosto, subito dopo la campanella della scuola media San Gaetano nel pieno del mio Ghetto. Costava tutto 1000 lire al pezzo, tranne quelli più rari (trattativa a parte), e all’epoca Napoli era piena di Camice in Flanella e Lewis 501 che arrivavano da qui. Di acqua ne è passata sotto a questi ponti, è cambiato tutto ed il contrario di tutto, sono passati da periodi di abbondanza a quelli di magra assoluta (non si trovava nulla) per poi tornare all’abbondanza. Le pezze oggi (purtroppo per me) sono sempre più ricercate ed i prezzi sono quintuplicati, eppure qualcosa di magico qua esiste ancora. Questo mercato riesce ad essere da 70 ed oltre anni una specie di enorme termometro psicosociale e commerciale sulle tendenze di tutto il Paese (Italia). Un profondo serbatoio zeppo di sorprendenti storie che molti dei protagonisti stessi ignorano di avere (don Antonio ad esempio pensava volessi fotografare la nipote). Quà vendono cose vecchie ma si capisce cosa tira, i gusti del momento e dove si dirige la moda. Non solo: molti dei visitatori che arrivano un po’ da tutti i lati (ovunque) mostrano e ricercano le tendenze più apprezzate e seguite, Converse e Vans qua ci sono sempre stati. Adidas era appesa a queste bancarelle quando nei negozi ancora non c’era. Resina è ad esempio una strada piena di personaggi Tatuati. Prospetti di ogni genere; dai tattoo criminali moderni a quelli antichi, dai giovani che seguono il tatuatore famoso a quelli che si tatuano a 20€ sotto casa. Un posto pieno di cultura, una cultura che (come nel caso delle storie) molti dei commercianti storici del luogo sottovalutano, o che alcuni addirittura ignorano. Qua alcuni dei commercianti va in America due, tre volte all’anno a scegliersi le pezze da mandare al mercato e negli anni hanno sviluppato un abilità straordinaria nel riconoscere quello che è “buono”.
Che poi nell’epoca della cultura per tutti e a tutti costi mentre stavo per finire il mio giro e tornamene a casa un ragazzo della mia età (e scusate se mi definisco ragazzo) , a cui chiedo di fotografare i poeti che ha tatuato sulle gambe, si meraviglia che conosca Edgard Allan Poe e Arthur Rimbaud: “finalmente qualcuno che non li scambia per i miei parenti”. In effetti amico li riconosco ma non li conosco, che è un pò diverso. Lascio passare però, era sorpreso sul serio, e non volevo deluderlo per l’ennesima volta. Resto dell’idea che la cultura oggi ha confuso la mente di molti di noi, ci ostiniamo a seguirla o farne parte come se anch’essa facesse la sua tendenza. Eppure in verità quella che preferisco , nonostante tutto, non è la cultura dei letterati o dei pittori ,delle religioni o della fotografia, da sempre per mia fortuna mi affascina raccogliere storie ed informazioni in posti come questo, teatro a celo aperto fatto di uomini e donne che spesso non mostrano il loro lato più morbido, ma dove si tramandano conoscenze essenziali a portare avanti le loro vite da padre in figlio, con naturalezza, cosi come credo dovrebbe essere. Ovunque in ogni umana cultura.
“Fò Da Culture.By Da Culture”. Spike Lee
(Che poi non l’ho capito come Don Antonio nato ad Ercolano abbia nipoti Russe. Questo non l’ho capito.)
Giuseppe Di Vaio
#NapoliPhotoProject
Napoli 27.02.218
Parto dal margine. Come sempre.
In giro calma e silenzio. I fiocchi copiosi si appoggiano e delicatamente dipingono tetti ,auto e strade. I centimetri crescono e il bianco ci invade.A quest’ora di solito la gente accelera, rumoreggia, si appicica per non fare tardi a lavorare. Ma questa mattina la neve, una volta tanto, in silenzio, tutto ha saputo rallentare.
Racconto Piscinola; margine Nord della città, racconto un evento unico e straordinario, di una piazza millenaria dove qualcuno dice che, se tutto va bene, tra una cinquanta di anni “se Dio vuole” torna a nevicare.
Giuseppe Di Vaio
Fine Maggio, inizio estate.
A Parigi, Stade de France, quella notte copiosamente diluviava.
Juliano Belletti, terzino destro Brasiliano, aveva da poco segnato il gol che consegnava la coppa mas grande alla leggenda blaulgrana.
22.35 circa, 17 il giorno, 2006 l’anno.Mezz’ora dopo alla TV quella notte Barcelona chiaramente già festeggiava.
Provate voi a seguire (da casa su un comodo divano) due ragazze Americane dal porto olimpico pronte a finire a bere in chissà quale locale, ai lati della strada luci sfocate e decine di bandiere bicolre ripetutamente sventolate.Atmosfera elettrica , non frenetica, giovane e conviviale. Quella sera da casa mia a me pareva veramente di viaggiare.
Discreta nei suoi volti, pulita in ogni punto che si collina o che sia mare. Pensata per vivere bene per qualunque status, fisico o sociale.Museo a cielo aperto, paradiso per artisti, dove di arte non devi necessariamente morire per poterci campare.Dove un disabile in carrozzina neanche si sogna di chiedere aiuto, perché ha tutto per potercela fare.Città dove è chiara una linea identitaria, con un concetto di bene comune da proteggere e di orgoglio e resistenza popolare da salvaguardare.
Sensibile,inteligente e funzionale.
Un fiume di semafori,frotte di taxi ad ogni angolo di strada, una torta di colori, elegante, scontata, elettrizzante, monotona e sorprendete, spesso pure banale.Altro che se banale.
Con la Spagna, da queste parti dicono,niente a che fare.
Barcelona non si lascia facilmente capire, men che meno accarezzare, ma sa diventare Sirena e da Maggio a Maggio con chiunque sa bene che richiamo usare.
Grazie ad Aeroporto Internazionale di Napoli al direttore Alessandro Fidato ed in particolare a Giovanna Caiazzo per aver voluto la “mia” città in esposizione in un luogo così prestigioso, un piacere ed un onore.
Per tutto il mese di Luglio se partite da #Napoli trovate 25 mie fotografie con 5 inediti appena prima dell’imbarco.
Un piccolo aiuto a non dimenticare da dove veniamo.
Photo by Ugo De Matteo