Fine Maggio, inizio estate.
A Parigi, Stade de France, quella notte copiosamente diluviava.
Juliano Belletti, terzino destro Brasiliano, aveva da poco segnato il gol che consegnava la coppa mas grande alla leggenda blaulgrana.
22.35 circa, 17 il giorno, 2006 l’anno.Mezz’ora dopo alla TV quella notte Barcelona chiaramente già festeggiava.
Provate voi a seguire (da casa su un comodo divano) due ragazze Americane dal porto olimpico pronte a finire a bere in chissà quale locale, ai lati della strada luci sfocate e decine di bandiere bicolre ripetutamente sventolate.Atmosfera elettrica , non frenetica, giovane e conviviale. Quella sera da casa mia a me pareva veramente di viaggiare.
Discreta nei suoi volti, pulita in ogni punto che si collina o che sia mare. Pensata per vivere bene per qualunque status, fisico o sociale.Museo a cielo aperto, paradiso per artisti, dove di arte non devi necessariamente morire per poterci campare.Dove un disabile in carrozzina neanche si sogna di chiedere aiuto, perché ha tutto per potercela fare.Città dove è chiara una linea identitaria, con un concetto di bene comune da proteggere e di orgoglio e resistenza popolare da salvaguardare.
Sensibile,inteligente e funzionale.
Un fiume di semafori,frotte di taxi ad ogni angolo di strada, una torta di colori, elegante, scontata, elettrizzante, monotona e sorprendete, spesso pure banale.Altro che se banale.
Con la Spagna, da queste parti dicono,niente a che fare.
Barcelona non si lascia facilmente capire, men che meno accarezzare, ma sa diventare Sirena e da Maggio a Maggio con chiunque sa bene che richiamo usare.